OTTOCENTO
BOLOGNESE
Bologna con Paolo Bovi Campeggi diede il suo campione di ardimento ed il suo cavaliere senza macchia e senza paura. Già sin da giovane, si era mescolato in cospirazioni e venne incarcerato e giudicato. Ma la fermezza dei compagni nella fede, impedì la di lui condanna. Approfittò della libertà ottenuta, per compiere gli studi di matematica, nella patria università, ed ottenne anche il libero esercizio dell'ingegneria, che professò per qualche tempo, prima, presso l'ingegner Brunetti, poi, per conto proprio. Nel '48 accorse nel Veneto, nel Battaglione dell'Alto Reno, comandato dal Conte Livio Zambeccari; poi, accettò il grado di maresciallo d'alloggio dell'artiglieria civica, con la quale prese parte alla gloriosa ed infelice difesa di Vicenza. Dopo la capitolazione, Bologna lo rivide tra le sue mura insofferente ed impaziente ed alla ricerca di nuovi campi di battaglia, sui quali prodigare l'anima sua generosa, per la nuova Italia che brillava alla sua mente ed accendeva il suo spirito. Insieme alla migliore gioventù d'Italia, accorse, come tenente d'artiglieria, alla difesa di Roma, dove si distinse quale eccellente tiratore al comando della batteria alla sinistra di Porta S.Pancrazio. Garibaldi lo scelse tra i suoi migliori ufficiali, e il 27 giugno, cavalcando egli a fianco del Condottiero, mentre i francesi bombardavano le mura Aureliane, una palla di cannone gli asportò, d'un tratto, la mano destra. Con mirabile sangue freddo, impugnata la sciabola con la sinistra e fasciato il moncherino col fazzoletto, lo legò strettamente con la dragona e non volle lasciarsi portare all'ambulanza. Vi andò solo piu' tardi, dopo essere stato ferito una seconda volta. Fu promosso capitano e gli fu conferita una medaglia appositamente coniata. Caduta anche la repubblica Romana, egli non disperò. Fu a fianco di Garibaldi e dei suoi migliori, nella leggendaria ritirata; poi, seguì il suo Duce a Tangeri, e di lì in America, dove gli eroi si improvvisarono fabbricanti di candele, in una fabbrica del grande italiano Meucci, per poter vivere e per non essersi voluti adattare a ignominiose speculazioni straniere a loro richieste. Rimpatriato nel 1851, s'andò a collocare, come ingegnere, nelle saline di Sardegna, dove aveva trovato occupazione onorata un altro bolognese, che aveva ricoperte alte cariche a Roma, prima come Ministro, e poi come Presidente della Costituente Romana e quale generale dei carabinieri Reali: Giuseppe Galletti, noto ed eminente patriota democratico. Nel 1869, fece la compagna coi Cacciatori delle Alpi, e fu addetto allo stato maggiore e particolarmente delegato alla sorveglianza delle salmerie e degli approvvigionamenti delle truppe, carica ch'egli tenne con molta lode. Per l'intimità che aveva con Garibaldi, egli fu uno dei primi ad aver conoscenza degli avvenimenti che si preparavano l'anno seguente e corse a Genova - e correndo gli parv'esser tardo per imbarcarsi a Quarto, con i Mille. Anche nella campagna meridionale fu preposto al servizio dell'intendenza, ed ebbe, poi, le funzioni di Intendente Generale dell'esercito di Sicilia. Finita la campagna venne fregiato dell'Ordine Militare di Savoia, per il modo lodevolissimo come aveva disimpegnato quell'arduo incarico. Entrò, poi come tenente colonnello nell'esercito regolare: ma nel 1866 chiese e ottenne di ritornare nel Corpo dei Volontari Garibaldini, addetto con lo stesso suo grado, al quartier generale di Garibaldi. Ritornato, poscia, nell'esercito, si trovò a non poter partecipare con grandissimo rincrescimento alla campagna romana del 1867. Ma anche quella spedizione gli lasciò segno profondo nell'animo, perchè a Monterotondo perdette, per ferite il figlio suo Giovanni, che era stato con lui a Napoli e che era rimasto ferito una prima volta a Limatola. Il colonnello Bovi si fece collocare a riposo nel 1868. Ma non lasciò il combattimento. Era venuto in quegli anni a Bologna il co-garibaldino Francesco Rais-Serra, quale pensionato regio: incaricato di organizzare la prima società di "reduci delle patrie battaglie" con colore politico radicale. Giornalismo, propaganda, conversazioni, riunioni, tutto serviva per la buona causa. Il colonnello Bovi Campeggi, Quirico Filopanti, il Prof. Piazza, il Carducci , Aurelio Saffi e parecchi altri, di provenienza, professione e attitudini diverse davano mano al lavoro, con intraprendenza e fede giovanili. Erano anni difficili, sotto tanti aspetti; e la lotta veniva ingaggiata da piu' parti, e con diversi mezzi. Quei patrioti erano presi dall'ansia di lavorare , per un domani, nel quale ci fosse posto per una miglior giustizia a favore degli operai, e nel quale le istituzioni statali e sociali si evolvessero, determinando un progresso generale in cui il rispetto ed il prestigio della Nazione non andassero disgiunti dalle intese internazionali, mezzo e fondamento di un piu' alto tono civile in Europa. Per questo nella vita di questi nostri magnanimi precursori dobbiamo imparare a vedere non solo i fatti che contraddistinsero il loro corso mortale, ma anche un'aspirazione indefessa e costante a miglioramenti nazionali e sociali. In via Belle Arti al n. 6 sul fronte della casa abitata da Paolo Bovi Campeggi, una lapide ci ricorda che ivi morì, nel 1874, il campione Bolognese dei Mille, quegli che ho chiamato anche cavaliere senza macchia e senza paura. I Bolognesi non passino davanti a quella lapide senza alzar gli occhi ad essa; E ricordando l'eroe tanto caro a Garibaldi ed esaltato da Giuseppe Guerzoni in una pagina immortale, per l'episodio del 1842 uniamo nello stesso ricordo i figli ed i nepoti, che sopra tutti i campi di battaglia, in questa grande guerra, ripetono centuplicati mille per uno gli atti di valore dei padri e degli avi. Buon sangue che davvero non mente. g.m. |
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